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In Ordine di Sparizione è un film decisamente nordico, frutto di una brillante coproduzione norvegese, svedese e danese. E’ ambientato in una fredda monocolore e nevosa Norvegia, magnificamente fotografata da Philip Ogaard, e porta la firma del regista Hans Peter Molland. Lo ricordiamo per Beautiful Country del 2004 con Nick Nolte e Tim Roth, presentato, anch’esso come In Ordine di Sparizione, alla berlinale, dove entrambi i titoli hanno riscosso un più che meritato successo. Se il primo si fondava su di un soggetto drammatico, il nuovo film è una piacevolissima e divertente commedia black, quasi thriller, in odor di Tarantino, con qualche richiamo allo stile dei Cohen, anche in virtù di vaghe similitudini nell’impostazione e nei contenuti di certi dialoghi, assimilabili nella forma a quelli tipici dei registi americani. In Ordine di Sparizionerimane comunque un’opera originalissima del regista norvegese, divertente a tutto tondo, sebbene di morti ammazzati ce ne siano a bizzeffe. Il bravo attore svedese Stellan Skarsgard, che figura anche tra i produttori del film, interpreta il ruolo protagonista di un padre incredulo di fronte alla morte per overdose del figlio che si incaponisce nella ricerca della verità, dando il via a una vendetta senza fine. Lui di mestiere guida giganteschi spazzaneve, ed è un buonuomo di nome Dickman, il che tradotto dall’americano… beh, meglio non scriverlo in fascia protetta…

in_ordine_di_sparizione_08L’uomo, apparentemente sprovveduto, non cederà di un passo nel confronto serrato con due gang di spacciatori, una norvegese, l’altra serba. Le due bande, inizialmente ignare della tenacia di questo padre vendicatore, dovranno vedersela tra di loro e, soprattutto, con la sua devastante quanto ingenua determinazione fino al pirotecnico inevitabile finale. Il film scorre fluido e denso di colpi di scena, non lesinando qualche ironica considerazione del regista su certi atteggiamenti razzisti dei suoi connazionali, oppure divertendosi a tratteggiare rapporti omosessuali tra gangsters e, magari, rozze annotazioni serbe sullo stile di vita locale. Una delle più riuscite sequenze mostra proprio i mafiosi serbi divertirsi sui campi da sci, euforici come bambini. Tutta da gustare la colorita e brillante interpretazione del grande Bruno Ganz nei panni del padrino serbo.

Se è inconfutabile ed evidente che il cinema europeo sia ormai orientato sempre più verso la commedia, va applaudita la prova di Molland e del suo Kraftidioten (chissà come si traduce davvero…), titolo originale più che rappresentativo di questa serie di efferati omicidi In Ordine di Sparizione

 

Dopo aver visitato Bayeux, il mattino del 17 maggio imbocco la nazionale in direzione Cherbourg. Prendo l’uscita che mi porta ad Omaha. In realtà quel nome in codice comprende Vierville, Colleville, Saint Laurent du Mer, La Cambe, Isigny e forse ne dimentico qualcuno. E’ stato il teatro di sbarco più sanguinoso di tutta l’operazione Overlord, tanto da essere stato ribattezzato Bloody Omaha. A Saint Laurent du Mer visito il memoriale. Stesse emozioni provate in quello di Bayeux. Incrocio turisti americani, inglesi, olandesi, ovviamente francesi, australiani, canadesi. Restiamo tutti ugualmente muti davanti alle vetrine che espongono le armi che hanno sparato, le mostrine, le medaglie, le bende, gli strumenti chirurgici.il-cimitero-americano-di-colleville-normandia

Seguo poi la strada per Colleville dov’è il grande Cimitero americano (foto in alto e qui sotto), quello antistante la spiaggia dove il 16° reggimento della I divisione americana, la Big Red One, ha lasciato così tanti caduti. La visita richiede quasi un’ora e mezza, senza percorrere i ripidi sentieri che, volendo seguirli, scendono fino alla spiaggia. Dopo aver camminato lungo i viali curatissimi, la vista si apre quasi all’improvviso sul panorama impressionante delle 9386 croci di marmo bianco. Ci sono sepolti padri e figli, fratelli. E’ presente anche qualche centinaio di croci che riportano la scritta ‘conosciuto solo da Dio’.

Torno al mio Burgman in silenzio. Il sole è caldo, ma provo un senso di freddo. Non visiterò il cimitero tedesco di La Cambe, dove le tombe sono addirittura più di 21000. Pur con tutto il rispetto per i caduti sotto ogni bandiera, è vivo in me il desiderio di allontanare quel senso di groppo in gola. Ho bisogno di un fiato, del respiro dell’Oceano. Me ne vado a Port-en-Bassin, paese di pescatori.

Sul lungomare scelgo a caso il Fleur du Sel, uno dei tanti ristorantini. Ho bisogno di riprendermi, di bere una buona birra e, perché no, di assaggiare le ostriche à la Normande. Sono una gradita sorpresa. Si condiscono con una riduzione a base di mele, sidro, cipolle e si fanno gratinare. Proseguo con un piatto di pesce, detto turbot. Chiedo alla cameriera carina e gentile di che pesce si tratti. Mi risponde che il turbot è il turbot… Scoprirò poi di aver mangiato un trancio di rombo.

accesso-al-cimitero-americano-di-collevillePasseggio pigramente rilassato per le stradine di Port-en-Bessin. Mi lascio catturare dall’alito dell’oceano. Scatto qualche foto cartolina. Mi regalo un braccialettino di cuoio. Chiacchiero con il propietario del negozio di souvenir. Parliamo del più e del meno. Ma ho come un peso dentro. La visita al cimitero americano mi ha davvero impressionato. Decido di rientrare a Bayeux, ma non prima di aver fatto un’altra breve tappa ad Arromanches che si rivela più che interessante. Qui gli inglesi costruirono un gigantesco porto di collegamento con un complesso sistema di ponti di barche per rifornire il teatro delle operazioni direttamente dalle navi alla fonda, con truppe fresche e ogni tipo di mezzi e sostentamenti.

Arrivato in hotel fumo e bevo birra seduto sul prato davanti alla mia camera. Alla mia sinistra vedo la cattedrale con le sue guglie che svettano su tutto. Sul prato di fronte tre mucche pascolano paciosamente. A destra dell’hotel c’è una clinica veterinaria per cavalli. Ogni tanto qualche nitrito si fa sentire. C’è grande pace.

Il giorno seguente, domenica 18 maggio, lo dedico airanger di Pointe du Hoc(foto qui a destra). Lì in 225 aggredirono e scalarono una falesia alta 30 metri al di sopra della quale erano i bunker tedeschi che con i loro cannoni da 155 sparavano sulle navi al largo. Fu un’impresa follemente eroica e coraggiosa. L’area di visita è vasta. Si percorrono i vari sentieri a fianco dei tanti e tanti crateri, risultato dell’intenso bombardamento dal mare, quello che non diede alcun risultato tanto da richiedere il successivo intervento dei rangers americani. La vista dei crateri e l’ingresso ai bunker lasciano un senso di disorientamento al pensiero di ciò che può essere veramente stato in quel giorno durante quell’attacco. Oggi è un grande prato assolato che domina dall’alto le barche intente nella pesca.

Il mio viaggio prosegue nell’omaggio ai paracadutisti della 101° Airborne, quelli lanciatisi sul Cotentin, insieme agli altri dell’82°, dietro le linee nemiche e che finirono sparsi nella notte su di un territorio ben più vasto di quanto fosse stato prefissato. Quelli che calarono anche su Sainte Mère Eglise, dove è il manichino che ricorda lo sfortunato soldato atterrato con il suo paracadute proprio sul campanile della chiesetta e lì rimasto appeso e ferito per tutta la notte prima di essere fatto prigioniero.

A Sainte Mère Eglise c’è il memorial dedicato ai parà: qui, tra gli altri percorsi di visita, si trova anche un’ala di nuovissima costruzione all’interno della quale c’è un C-47 Dakota. Si entra nella stiva dove sono allineati i manichini dei soldati in completo assetto da battaglia in attesa della luce verde. Nella semioscurità si rivive, attraverso audio e video originali, l’emozione del momento del lancio sotto i colpi della contraerea. Nel museo ci sono pure altri diorami di indubbio interesse che fanno rivivere momenti storici. Nulla è stato lasciato al caso e l’attenzione e lo stupore si rinnovano in ogni sala del percorso.

sul-campanile-di-st-marie-eglise-bayeuxAl rientro a Bayeux visito la cattedrale dov’è la campana Therese-Benedicte della quale ho già detto. Ho indosso una maglietta con i colori dell’Australia. Nella sacrestia, dove sono in vendita i souvenir, dietro il banco sta una vecchietta. La saluto porgendole i miei auguri di buon compleanno rendendola semplicemente felice – ne ho sentito casualmente l’accenno da una sua amica. Mentre mi avvio verso l’uscita, mi corre dietro offrendomi una cartolina con l’illustrazione di una delle vetrate della cattedrale. “Sei australiano… vai a vedere quella vetrata… c’è la Vergine che ha protetto i soldati… ci sono anche gli australiani!”.”Ma io sono italiano… non vengo dall’Australia…”.”Non importa… vai lo stesso!”. Vista la dolce insistenza, seguo le indicazioni.

Una piacevole serata di riposo chiude la mia permanenza a Bayeux. Il meteo prevede un peggioramento. Non andrò a Courseulles o altrove. Per il giorno dopo decido una diversione di itinerario con una visita veloce a Mont-Saint-Michel, da dove poi guadagnare quanta più strada possibile per il rientro, evitando la pioggia che in parte prenderò lo stesso.

Al mattino successivo, approfitto di una abbondante colazione con quegli irresistibili croissant e quel pessimo caffè. Imbocco la nazionale per Cherbourg. Devio per Saint Lo e da lì a sudovest verso Mont Saint Michel dove arrivo dopo circa 300 km. L’avvicinamento al monte è piacevole. Attraverso stradine costellate di case indicanti un numero spropositato di camere in affitto e quant’altro vive attorno al famosissimo luogo. Poi la sorpresa… non si può più arrivare a parcheggiare sotto la rocca. Sono in corso i lavori di costruzione di una diga (la marea che un tempo si regolava da sé non esiste più) e sono stati predisposti dei parcheggi molto distanti dai quali accedere al monte con un servizio di navetta che lascia a circa 300 metri dalla rocca. Troppo tempo! Non voglio perdere tutte queste ore. Voglio evitare il brutto tempo che si avverte già nell’aria ed è evidente che occorre almeno un giorno intero per una visita decente, non le poche ore che mi ero prefissato. Boh.. ci tornerò alla prima occasione…

Risalgo in sella e vado in direzione Rennes. Da lì a Le Mans per raggiungere in serata Bourges e passare una notte nello stesso accogliente ed economico hotel Ibis. Il Burgman macina chilometri. Tutto bene a parte un certo indolenzimento del fondoschiena… Manca ancora poco per Bourges. Sarebbe inutile fermarmi ancora per benzina, caffè e sigaretta. Ormai ci siamo quasi… Acc… mi distraggo… perdo l’uscita, la sola e unica per Bourges – ne rammentavo due – e la successiva è Alencon a 90 km?! Come faccio per la benzina… Cavolo che casino! Al contrario ecco l’indicazione per un autogrill dopo 20 km, così almeno posso fare il pieno, poi si vedrà. L’addetta alla cassa mi riaccende il sorriso… a 6 km c’è un’uscita e lì nei pressi un piccolo motel che pare accolga particolarmente volentieri i motards… Sembra fatto apposta per me. Evviva!

pointe-du-hoc-veduta-dalle-scogliereCosì esco a Saint Amand Montrond. Scorgo subito il motel. Avvicinandomi sento anche un buon profumo di cucina… mmmh…
Scopro che, non avendo prenotazione, la stanza per me non c’è. Merde! Sono costretto raggiungere il paesino seguendo le indicazioni che mi vengono gentilmente fornite. Vado a destra, poi a sinistra, poi a destra… ma ‘sto cavolo di hotel dov’è?! Beh seguirò l’istinto. Vado nel centro del paese che è completamente deserto. Non c’è anima viva e nemmeno l’ombra di un alberghetto… No! Non è vero! Vedo una scritta… albergo ristorante la Croix d’Or! un due stelline accese tutte per me! Parcheggio alla buona sul marciapiede. Entro nella casa di due piani un po’ trasandata nell’aspetto. C’è odore di vecchio, ma soprattutto… non c’è nessuno. Hello? Hello? D’un tratto spunta alle mie spalle un’anziana segaligna signora dallo sguardo severo. Ho la sensazione di essere capitato nella favola di Hansel e Gretel. Ma no, che dico! Madame Rolande, questo il nome della donna, è gentilissima e affabile. La stanchezza a volte gioca brutti scherzi. Mi assegna la stanza numero 7 al secondo piano. Mi permette di lasciare il Burgman nel cortiletto interno. Una cameriera ragazzina, non molto sveglia, mi indica le scale. Salgo con il sacco e lo zainetto in spalla. La piccola camera numero 7 ha un nome, si chiama Sabrina. Il suo interno sembra un puzzle… in mezzo c’è un grande letto (meno male). Di fronte a sinistra un piccolo lavandino, dietro il quale spicca una sgargiante tenda viola che separa una improvvisata ma efficiente piccola cabina doccia. A destra della finestra è stato ricavato un bugigattolo con il water. Meno male! Di primo acchito credevo fosse nel corridoio. Sono strafelice! Scendo a cenare con un ottimo filetto e mezzo litro di vino che credo di essermi ben guadagnato, non prima di avere assaggiato degli affumicati di cui vado a dire.

Dopo una buona dormita e una doccia ristoratrice, scendo a fare colazione. Chiacchiero con madame Rolande. Si parla del futuro, di sogni e progetti. Lei sta restaurando parte delle camere e poi vorrebbe mollare tutto a andare lontano… Salgo a prendere il sacco e lo zainetto. Scendo in cortile per caricare il Burgman e la mia attenzione è richiamata da una strana stufa. Madame Rolande mi spiega che è una sua idea per affumicare la carne à la maison artigianalmente e più che efficacemente. Per il filetto di maiale occorrono circa 4-5 ore, mentre quello d’anatra ne sono sufficienti 3-4.

mappa-dello-sbarco-in-normandiaRiparto in direzione Lione e poi verso casa. Oh no! Di nuovo il vento mi sbatacchia senza ritegno. Direi più forte del viaggio di andata. Passo Lione miracolosamente senza sbagliare strada… Sono in Savoia. Mi avvicino al Frejus. Che ventaccio, non molla d’intensità. Oh no! L’autostrada che porta al tunnel è chiusa. Lavori in corso e vento forte lasciano transitare solo i bilici. E così mi ritrovo sulla statale per Modane. Dopo una quindicina di chilometri extra arrivo al tunnel. Lo percorro questa volta apprezzandone il calore interno. Ho le mani indolenzite. Nel versante italiano il vento rimane tale e quale. Mi pervade improvviso un senso di malinconia. Il viaggio, dopo più di 2600 km, è alla fine, per ora…

Dario Arpaio

Partito da Torino con il mio Burgman 650 sono arrivato a Bayeux. E’ davvero una bella cittadina, con le case dalle facciate linde, in perfetto stile normanno, qualcuna con le travi a vista, con le strade pulite e un traffico ordinato e fluido. Intravvedola cattedrale gotica, Notre Dame, ma la visiterò poi, adesso devo raggiungere l’hotel Campanile dove ho prenotato una stanza per qualche notte. Lo trovo quasi subito. E’ una struttura tipo motel, accogliente, tranquillo, situato vicino al Musée Memorial de la Bataille de Normandie e al Cimitero dove riposano i corpi dei caduti inglesi. La camera è piccola ma dotata di ogni comfort. Alla reception mi accoglie Nicolas, gentile e sempre disponibile. Opto per la mezza pensione. Si rivelerà una buona scelta con cena a base di antipasti a buffet, un piatto a scelta nel menù del giorno, e infine dessert, anch’essi a buffet. Approfitterò anche di qualche bottiglia di buon vino… Per la verità gli antipasti e i dessert sono davvero tanti, ricchi e variamente gustosi. Alla fine mi troverò a mangiare fin troppo, pur senza esagerare.

Resto pochi minuti in camera, giusto il tempo di una sciacquata al viso e mi reco subito al museo della battaglia, il primo dei tanti che visiterò con sorpresa sempre rinnovata e, a volte, anche con un filo di commozione. Quella iniziata il 6 giugno del ’44 non è stata solo una delle più vaste imprese militari della storia, ma è stata una battaglia densa di eroismi, da una parte e dall’altra. Forse l’ultima battaglia di uomini che hanno dovuto superare se stessi in sacrificio e coraggio. Oggi la guerra rimane altrettanto atroce, ancora di più se si considera il numero spropositato di vittime civili innocenti. Inoltre la tecnologia limita l’apporto umano, lo modifica, e per certi versi lo sminuisce, privilegiando altre strategie. I paracadutisti della 101° brigata americana che il 6 giugno del ’44 si sono lanciati dietro le linee tedesche, i 225 rangers che hanno preso d’assalto i bastioni di Pointe du Hoc, i marines di Omaha Beach, i canadesi, gli inglesi… tutti si sono resi protagonisti di atti di autentico eroismo, di estremo sacrificio. Anche i tedeschi non sono stati da meno nella loro difesa strenua. La guerra è terribile, ma risveglia qualcosa nei combattenti che non si può descrivere. Le varie testimonianze dei reduci, che si possono vedere e ascoltare nei vari musei sparsi un po’ ovunque (anche troppi…), sono davvero toccanti. Non negano paura o sofferenza, ma esaltano un sentimento umano che difficilmente si può comprendere fino in fondo. C’è solo da augurarsi che ciò che è stato non si ripeta. Ma il rispetto e l’ammirazione per quegli uomini deve pure perpetrasi immutato nel tempo.

cozze-alla-normannaIl percorso nel museo memorial di Bayeux è ricco di mappe che raccontano lo sbarco ora per ora, di divise, armi, oggetti d’uso comune come rasoi, pacchetti di sigarette, di chewing gum, di foto appartenute a qualche sconosciuto soldato. Vengono proiettati filmati dell’epoca. L’emozione cresce così come il desiderio di andare a vedere gli altri luoghi della grande battaglia. Tra l’altro, vengo a sapere che a Bayeux è pronta, al centro della cattedrale, una campana commemorativa. Ha un nome, come tutte le campane. Si chiama Therese-Benedicte e verrà fatta suonare il prossimo 6 giugno, giorno del 70° anniversario, per chiamare, con la sua voce, la pace e la libertà. E’ un’attrazione che c’è da sperare possa avere un seguito non solo nelle foto dei turisti che accorreranno in massa.

Al ritorno in hotel, dopo la cena, preparo il programma per il giorno seguente. Mi rendo già conto che non riuscirò a visitare tutti i luoghi che avevo previsto. Sono davvero tanti e ognuno ha un richiamo particolare. (continua)

Dario Arpaio

Sono le 08:00 del 15 maggio 2014. Il mio Burgman 650 è pronto. Ho fatto anche il cambio olio. Il tubo arancione in PVC è bene assicurato alla sella. Dentro ho messo solo qualche ricambio. Nel sottosella uno zainetto con i vari caricabatterie, sigarette e l’iPad, preso con l’intento di scrivere un diario giornaliero, cosa che poi non farò. Resterò immerso nei miei pensieri e in tante riflessioni su ciò che via via vedrò e sentirò dentro. Nel bauletto posteriore l’immancabile antipioggia. Il Burgman occhieggia con i due grossi fari, come se aspettassero solo il mio via. Il motore gira al minimo. L’eccitazione è molta. Questa volta si va in Normandia. Il tempo è buono. Tutto lascia prevedere che il viaggio – tanto atteso – verso i luoghi del D-Day possa risultare davvero ricco di emozioni. Monto in sella!

L’autostrada da Torino verso il traforo del Frejus è poco trafficata a eccezione di qualche camion. Ed ecco il tunnel con la sua bocca nera nera che pare attendere sornione uomini e mezzi. Pago il ticket valido una settimana. Costa circa 37 euro. Nel tunnel l’andatura è limitata a 70 km/ora, il che fa sembrare il percorso molto più lungo di quanto non sia. Il calore aumenta man mano che si procede. Cerco di respirare il meno possibile, anche se la ventilazione nella galleria è efficiente. Et voilà… entro nella Savoia.

Poi diritto verso Lione, senza perdere tempo. Acc… non ho fatto i conti con un vento che si presenta quanto meno forte e fastidioso. Devo ridurre l’andatura. Mi arrivano addosso bordate davvero violente. Sarà così fino a Lione (…e oltre). Attraversare il ring di quella città è sempre un gran casino, con le continue deviazioni da una tangenziale all’altra. Imbocco finalmente quella per Clermont Ferrand. Il vento è sempre molto teso. La guida richiede impegno continuo e attenzione massima. Mi fermo con una certa frequenza, anche perché il Burgman ha un serbatoio di 14 litri.

resti-del-porto-di-arromanches-spiagge-del-d-day-normandiaMentre guido non manco di ammirare la bellezza della campagna francese. Vaste pianure a perdita d’occhio vengono interrotte da colline che ondulano dolcemente il paesaggio. Spesso cartelli ben posizionati propongono indicazioni per luoghi d’interesse, anche enogastronomico… A proposito… la fame si fa sentire… Mi accontento di un tramezzino e via verso Bourges. La stanchezza, dopo circa 650 km, comincia a pesare. Le mani sono indolenzite. Esco dall’autostrada a Bourges, alla ricerca di un posto dove passare la notte. Francamente non ho intenzione di sbattermi più di tanto e non appena avvisto un hotel Ibis, appena poco distante dal casello di uscita, mi ci dirigo senza perdere altro tempo. Mi viene dato di parcheggiare proprio davanti l’ingresso. Jéremy della reception è gentilissimo. La struttura è nuova, o almeno pare esserlo. Respiro odore di pulito. Non vedo l’ora di fare una bella dormita e ripartire fresco e riposato. Voglio gustarmi ogni minuto di questo piccolo viaggio nella storia. Mi viene offerto un buono sconto per un ristorante specializzato in cozze. Scopro che fa parte di una catena, Léon de Bruxelles. Ovvia la scelta del menù…
In camera mi soffermo per qualche tempo affacciato alla finestra che dà sui campi. Guardo il tramonto e sento pulsare dentro di me l’emozione del viaggio. Da solo, le sensazioni sono più intense, dilatate, dense di sfumature. Se condivise, non avrebbero medesimo accento. Qualcosa si agita nella mente e nel cuore. Immancabilmente spinge a partire. Si possono pianificare tempi e percorsi, ma è dentro se stessi la tappa più entusiasmante, quella più ricca.

Il mattino seguente, di buon ora, si riparte. Spero invano che il vento sia calato. Dopo Bourges è la volta di Tours e poi Le Mans… Già! Domenica 18 si corre il Moto GP! Ecco spiegato il perché dei tanti gruppi dimotards che incrocio. Tutti a Le Mans! Scopro con sopresa che per l’occasione tutte le autostrade del comprensorio sono gratuite per le moto che beneficiano di una corsia preferenziale ai vari caselli e, nei pressi di Le Mans, anche di un’area di raccolta e ristoro. Wow! E’ davvero piacevole quel senso di appartenenza che si rinnova ogni qualvolta si incrocia un’altra moto. Un cenno di saluto e via così. Non ritrovo certa spocchia nostrana, snob e provincialotta, in base alla quale se non monti questa o quella moto, peggio se viaggi in scooter, non sei degno di attenzione. Il nostro è sempre più un Paese dell’apparire, della superficialità ostentata nel possesso.

Vicino a Le Mans mi fermo in una delle tante aree di sosta per l’ennesima sigaretta. Ce ne sono davvero molte di queste aree, ben distribuite su autostrade e nazionali (che in Francia sono tutte perfette nell’asfalto e a due corsie), sempre ombreggiate, attrezzate con bagni pulitissimi, spesso dotate di giochi per i bambini. Insomma un vero piacere… In quella dove sono arrivato, trovo addirittura delle chaise longues in legno… Che meraviglia per la mia schiena…

Via via che mi allontano da Le Mans il numero delle moto diminuisce. Lascio l’autostrada a Caen. Qui c’è un importante museo della battaglia del ’44, ma ho fretta di arrivare a Bayeux, che sarà il mio campo base da dove mi muoverò visitando a raggiera i luoghi e le spiagge del D-Day. Già… la fretta… proprio quella che mi fa sbagliare strada più volte. Le indicazioni sono scarse e devo ricorrere al GPS del telefonino (non ho portato il navigatore), il che comporta soste frequenti per la consultazione. Gira di qua e di là, finalmente lascio Caen. Mi sento un deficiente, possibile che abbia dovuto impiegarci così tanto tempo? Accidenti a Caen! Non ci torno… per dispetto… si fa per dire… Finalmente arrivo a Bayeux dopo più di 1000 km e un giorno e mezzo di viaggio ad andature basse a causa di quel vento così insistente. (continua)

Dario Arpaio

Ho imprigionato la voce di un merlo.

E non so che farmene.

Ho spezzato il volo di una farfalla.

Ora mi pento e piango.

Sto quì, seduto ai docks.

Rimbrotta il mare

il mio fare amaro.

Lo ascolto meschino.

Ancora mi pento

in un pianto sommesso.

La promessa dell’arcobaleno mi ha tradito.

Doveva scendere a me e invece ha tradito.

Come un amante distratto me ne vado.

Accartoccio il cuore.

Non cedo del tutto, rincorro

un temporale qualunque.

La pioggia può lavare

l’inquietitudine,

e la mia storia assetata.

Avanti l’alba però il mare si è fermato.

I gabbiani dalla testa nera,

increduli e disorientati,

hanno tentato il suo respiro.

Anche i passeri lo hanno chiamato

Con viva voce lo hanno chiamato.

Non so.

Mi vedo errare solitario e compromesso

di notte in notte

lasciando di me un passo sgualcito
alla porta dei sogni.
E ora, avanti l’alba, Il mare si è fermato.

Da una feritoia di luce guardo il giorno.