Modì Modì

tutta notte a La Rotonde

strattonando la tisi

l’assenzio e il rum.

Così lontano

dagli occhi miei

acquamarina.

Ho smarrito

l’anima. Tu l’hai.

Non la cerco.

E’ sulla tela

o sotto il cappello

in terra.

Rue de la Chaumière,

lì s’affretta

l’anima mia.

Oh Modì Modì

tutta notte a La Coupole

con l’hashish

alla tua mano

per non sfiorir

l’acquamarina.

Laddove è crosta

viva tra le dita

che sanno

del viso mio triste

come la matita.

Siamo noi, Modi,

l’altrove.

Nessuno,

Non aspettarmi Jeanne,

non seguirmi

dove nero e blu

s’incastrano

compatti e densi

come pennelli e ombre

affamati e docili.

Jeanne dove sei!

Mi perdo Jeanne

se l’amore tuo spoglio

e bestemmio.

Che ne possono sapere

i tetti di zinco e prugna

e che reclamano da noi

i viali, non so.

A La Rotonde, Jeanne,

vago istrione

 se la notte avvampa.

Mi aggredisce ora forte

il macadam dei viali.

Si frantuma l’aria

nel fiato mio.

Jeanne addio!

Ora per lui muti in corteo

Zbo, Pablo e Soutine,

La Rotonde e La Coupole

e i quadri nei cappelli

sfilano tutti ghiacci

di là dell’ultima inferriata.

Modì! Non ho più Modì

i miei piedi negli occhi

barcollanti, tremano

il silenzio, abbuia

la ringhiera e il vuoto.

Addio.

Hanno cullato i tetti

l’ultima acquamarina

 e Jeanne e Modì.

 

 

Dario Arpaio

Gira la vecchia giostra

del cavallo bianco e oro.

Gira gira gira.

Vieni con me.

Cavalca il cavallo bianco e oro.

Lo vedi. Lo senti.

Lui sogna le steppe

infinite fughe.

Non si azzuffano, sai,

i cavalli bianchi e oro.

Non s’accapigliano

sulla via lattea.

Non sanno.

Vieni con me.

Cavalca il cavallo bianco e oro

della vecchia giostra

che gira gira.

E se piove, pioverà.

Se notte, annotterà.

Oltre l’alba girerà.

Vedrai, mai fermerà.

Bianco e oro

gira il cavallo, e girerà.

 

 

D.A.

Da uno sconcio fiato

di vecchia armonica

rattoppo stanze d’intelletto

calafataggio estremo

d’una carne di stoppa.

Col mazzuolo stretto in mano

batto scalpello

e rintoppo lacrime di gelo.

Ho lacerato

un vestito di conchiglie vuote

nell’ultima magica olofania.

S’acquieta ora il mare

di corrusco acciaio il volto.

 

 

 

D.A.

Si accalcano i ricordi

tra la bocca dello stomaco

 e i petali della rosa bianca.

Di tutte le parole (non)dette

si azzuffano cocci, vetro e ossa,

contro un muro di silenzio,

come lacrime ossessionate

dal rumore di una candela

nella notte più lunga

di un solstizio inatteso.

 

 

DA

Quante volte è stato Natale

solo il mare lo sa.

Puoi dire che

una volta è una volta,

ma poi ritorna.

Anche le finestre delle case,

ti dico, le sanno contare.

Le vedi anche tu a notte

le luci, gli addobbi

e le abbuffate.

Non lo sapeva, invece,

la bambina dei fiammiferi.

Tre soli ne aveva nella notte

l’un dopo l’altro accesi

all’addiaccio.

Arrotolata

nelle sue ossa di freddo.

Pure aveva sognato

un cancello dorato,

una tavola imbandita

e un albero di luce.

Si era addormentata

neve sui capelli stanchi.

Con lei una vecchina,

pure di stracci vestita.

Insieme erano poi volate via

in un sogno di nuvola e stella.

Lo vedi,

 quante volte sia stato Natale,

davvero, solo il mare

lo sa contare nel vento.

Lui, che non sa di luci

addobbi e abbuffate,

ancora ricorda,

e saluta quella notte,

la nuvola e la stella

dei tre zolfanelli spenti.

 

D.A.